La giornalista Ilaria Alpi e tutte le altre “penne scomode” uccise per il loro lavoro

Ventinove anni fa la giornalista Ilaria Alpi, insieme al suo operatore Miran Hrovatin, fu assassinata in Somalia. Dal 1980 sono 19 i giornalisti e gli operatori tv uccisi all’estero perché svolgevano in prima linea il loro lavoro. A questi si sommano altri 9 cronisti uccisi dalle mafie tra il 1960 e il 1993

Dallo scorso 20 marzo sono passati esattamente 29 anni dall’assassinio della giornalista Ilaria Alpi e del collega Miran Hrovatin. Quasi 30 anni senza ancora la verità, senza giustizia per un crimine su cui si è voluto da subito nascondere e depistare. Ma i due non sono stati gli unici “scomodi” del nostro Paese.

Ilaria Alpi, giornalista del Tg3, e l’operatore Miran Hrovatin, furono uccisi a Mogadiscio, in Somalia, il 20 marzo 1994. Alpi e Hrovatin stavano lavorando ad un’inchiesta su un presunto traffico di armi e rifiuti tossici in cui sarebbe stato coinvolto lo Stato italiano. Erano di ritorno da Bosasa, città nel Nord del Paese, dove avevano appena intervistato il sultano della zona, Abdullah Moussa Bogor. Di ritorno a Mogadiscio, Alpi e Hrovatin si recarono prima nel loro albergo, il Sahafi, e poi all’hotel Hamana con il loro autista Ali Abdi. Proprio qui la loro auto venne fermata da un commando che aprì il fuoco, uccidendo la giornalista e l’operatore.

Oltre al caso Alpi, nella storia del giornalismo italiano sono numerosi i casi di persone che hanno perso la vita, mentre svolgevano il proprio lavoro. Alcune di queste figure hanno pagato caro il proprio impegno su vari fronti internazionali. Altre hanno subito la stessa sorte a causa delle loro inchieste sulla mafia.

Giornalisti italiani uccisi all’estero

Il 22 agosto 1980 Graziella De Palo, con il collega Italo Toni, partirono per il Libano per un’inchiesta sul traffico d’armi fra Italia e Medio Oriente. Il 2 settembre i due giornalisti uscirono dall’Hotel Triumph di Beirut e salirono su un’auto. Avvertirono l’ambasciata italiana in Libano: “Se non torniamo entro tre giorni, venite a cercarci”. Da allora non si sono più avute loro notizie.

Amerigo Grilz fu il primo reporter di guerra italiano a cadere ucciso su un fronte di conflitto dopo la Seconda guerra mondiale. Il 19 maggio 1987 fu ucciso, all’età di 34 anni, in Mozambico da un cecchino, colpito alla nuca mentre filmava la ritirata dei guerriglieri della ReNaMo (Resistenza Nazionale Mozambicana).

Il 29 maggio 1993 un convoglio di aiuti della Caritas bresciana proveniente da Spalato stava percorrendo la strada di Gornji Vakuf, in Bosnia, per portare aiuti umanitari agli abitanti della cittadina di Zavidovici quando si imbatté nei Berretti verdi, una formazione paramilitare musulmana guidata dal comandante “Paraga”. Il giornalista freelance Guido Puletti fu ammazzato a sangue freddo insieme a due cooperanti italiani, Sergio Lana e Fabio Moreni.

Pochi mesi dopo, il 28 gennaio 1994, vennero uccisi a Mostar Marco Luchetta, Alessandro Ota e Dario D’Angelo, inviati in città dalla Rai per realizzare uno speciale sui bambini vittime della guerra.

Solo un anno dopo dalla morte di Ilaria Alpi, il 9 febbraio 1995, morì sempre a Mogadiscio Marcello Palmisano. Il cameraman italiano si trovava in Somalia con la giornalista Carmen Lasorella per realizzare un reportage per il Tg2. Durante uno degli spostamenti il mezzo su cui viaggiavano si ritrovò nel bel mezzo di uno scontro a fuoco. Palmisano venne ucciso da un proiettile o dalle schegge di una granata, mentre Carmen Lasorella rimase ustionata nell’incendio del fuoristrada su cui viaggiava.

Gabriel Grüener, giornalista italiano di lingua tedesca, stava documentando l’arrivo delle truppe di pace in Kosovo, quando, il 13 giugno 1999, fu ucciso da un cecchino nei pressi di Dulje. Insieme a lui morì anche il collega tedesca Volker Krämer.

Maria Grazia Cutuli, giornalista del Corriere della Sera, venne uccisa in Afghanistan il 19 novembre 2001. È stata un’inviata in diverse parti del mondo come Cambogia, Sarajevo, Albania, Iraq e Timor Est. Il 19 novembre 2001 tre uomini armati bloccarono l’auto su cui viaggiava, la costrinsero a dirigersi verso una montagna dove la uccisero a colpi di kalashnikov.

Maria Grazia Cutuli, da Corriere della Sera

Il 26 agosto 2004 arrivò in Italia la notizia della morte di Enzo Baldoni, giornalista, pubblicitario, traduttore e volontario della Croce Rossa. L’uomo era stato rapito pochi giorni prima in Iraq da un’organizzazione armata islamista, che lo ammazzò dopo aver chiesto il ritiro dal paese dei militari italiani. In Iraq era in corso la seconda guerra del Golfo, che avrebbe poi portato alla caduta di Saddam Hussein, e l’Italia faceva parte della coalizione internazionale che invase il paese, guidata dagli Stati Uniti.

Raffaele Ciriello, medico e fotoreporter freelance, venne ucciso il 13 marzo 2002 a Ramallah, in Cisgiordania. Secondo la versione ufficiale la raffica di proiettili esplosi da un carrarmato israeliano lo colpì per errore. Ciriello aveva realizzato reportage in aree devastate dalla guerra, come Sud America, Africa e Medio Oriente.

Fabio Polenghi aveva 48 anni quando fu ucciso il 19 maggio del 2010 a Bangkok, colpito da un proiettile in dotazione all’esercito thailandese, mentre stava documentando la fase finale della protesta del movimento antigovernativo delle “Camicie rosse”.

Il 15 aprile 2011 fu ucciso a Gaza il reporter Vittorio Arrigoni. Era l’unico italiano presente quando, il 27 dicembre 2008, Israele lanciò l’operazione Piombo Fuso e raccontò i giorni della sanguinosa offensiva in articoli pubblicati da “Il Manifesto”. Tornò nella striscia a marzo 2010 e, dopo poco più di un anno, venne rapito dai terroristi che diffusero in un video su Youtube immagini di lui bendato e legato. Dopo pochi giorni, venne ucciso.

Andrea Rocchelli era un fotoreporter ed è stato ucciso, insieme all’attivista per i diritti umani e interprete Andrei Mironov, il 24 maggio 2014, nelle vicinanze della città di Sloviansk, in Ucraina, mentre documentava le condizioni dei civili durante il conflitto del Dombass.

Simone Camilli era un producer e videoreporter al servizio di diverse agenzie internazionali, tra cui l’Associated Press. Il 3 agosto 2014 stava realizzando un servizio sulle bombe inesplose nella Striscia di Gaza quando una deflagrazione colpì a morte lui ed altre cinque persone.

Antonio Russo, giornalista di Radio Radicale, è stato ucciso nella notte tra il 15 e il 16 ottobre del 2000 vicino a Tbilisi (Georgia), mentre documentava le violenze sul popolo ceceno. Secondo alcune fonti, il reporter sarebbe stato ucciso per aver raccolto materiale video scomodo per le truppe russe. Dal suo appartamento, infatti, furono rubate la sua videocamera, il registratore e tutte le testimonianze che aveva raccolto.

Giornalisti uccisi dalle mafie

Cosimo Cristina venne ucciso, all’età di 25 anni, il 5 maggio del 1960 da sicari mafiosi rimasti impuniti. Il suo cadavere fu trovato lungo la strada della linea Palermo-Messina, tra le stazioni di Termini Imerese e Trabia. L’intento fu quello di inscenare un suicidio, per mascherare il delitto. Cristina è il primo giornalista vittima della mafia e il suo omicidio è rimasto impunito.

Il giornalista Mauro De Mauro venne sequestrato e ucciso da un commando mafioso nel 1970 a Palermo. Nel corso della sua carriera si occupò, in particolar modo, dell’inchiesta sulla morte del presidente dell’Eni, Enrico Mattei. La sera in cui fu rapito aveva appena posteggiato la sua Bmw accanto al portone d’ingresso del palazzo in cui abitava. I killer gli tesero una trappola e De Mauro venne rapito e poi ucciso. Il suo corpo non è mai stato ritrovato.

Il 27 ottobre del 1972 venne ucciso a Ragusa Giovanni Spampinato, corrispondente del giornale “L’Ora”, da Roberto Campria, figlio del presidente del tribunale di Ragusa. Spampinato venne ucciso per aver compreso il coinvolgimento di Campria nell’omicidio di Angelo Tomino, ingegnere e costruttore edile legato ad ambienti dell’estrema destra.

Giuseppe Impastato, giovane attivista fondatore di Radio Aut, venne assassinato nella notte tra l’8 e il 9 maggio del 1978, con una carica di tritolo posta sotto il suo corpo messo sui binari della ferrovia. In un primo momento il delitto venne etichettato come atto terroristico in cui l’attentatore sarebbe rimasto vittima, ma poi, nel novembre del 1997, il collaboratore di giustizia Salvatore Palazzolo indicò in Badalamenti il mandante dell’omicidio e il suo vice Vito Palazzolo come esecutore. L’inchiesta venne riaperta e Badalamenti venne condannato all’ergastolo, mentre Palazzolo a 30 anni di reclusione.

Mario Francese, cronista del “Giornale di Sicilia”, venne ucciso il 26 gennaio 1979 a Palermo. Nella sua carriera si occupò di molte inchieste che mostravano un collegamento tra mafia e istituzioni. Per l’omicidio del giornalista vennero condannati, ventidue anni dopo, Riina, Madonia e Greco. Le indagini appurarono che a sparare fu Leoluca Bagarella, uno dei killer più sanguinari di Cosa Nostra.

Giuseppe Fava era direttore e fondatore del mensile “I Siciliani”, è stato ucciso il 5 gennaio 1984 con cinque colpi di pistola calibro 7,65 davanti al Teatro Stabile di Catania. Il suo giornale era un punto di riferimento per il movimento antimafia e le inchieste pubblicate diventavano spesso un caso politico e giornalistico. Nel 2001 la Corte d’appello di Catania confermò le condanne all’ergastolo per Nitto Santapaola e Aldo Ercolano, affiliati della Cosa nostra catanese.

Giancarlo Siani venne ucciso il 23 settembre 1985 nei pressi della sua abitazione al Vomero da due killer, mentre si trovava ancora a bordo della sua Mehari. Aveva da pochi giorni compiuto 26 anni. Lavorava come corrispondente da Torre Annunziata, una cittadina vesuviana dilaniata dalla lotta tra i clan. Dopo anni di indagini e processi giudiziari, sono state condannate sei persone legate alla camorra.

Giancarlo Siani, da The Vision

La sera del 26 settembre 1988 venne ucciso a Valderice (Sicilia) il giornalista Mauro Rostagno, impegnato a raccontare e svelare i misteri del potere mafioso e le sue infiltrazioni nel tessuto politico ed economico del Trapanese. Per il suo omicidio è stata confermata dalla Cassazione la condanna all’ergastolo per Vincenzo Virga.

Attraverso le sue inchieste sul giornale “La Sicilia”, Giuseppe Alfano si occupò a lungo degli intrecci tra mafia, imprenditoria e collusioni con la politica. La notte dell’8 gennaio 1993 fu colpito da tre proiettili calibro 22 mentre era fermo alla guida della sua Renault 9 in via Marconi a Barcellona Pozzo di Gotto (Me). Alla morte seguì un lungo processo che condannò un boss locale, Giuseppe Gullotti, per aver organizzato l’omicidio. Restano ancora ignoti i veri mandanti e le circostanze che provocarono l’ordine di morte nei suoi confronti.

La situazione che vivono oggi i giornalisti italiani

Secondo la classifica di Reporters sans frontières in tema di libertà di stampa, stilata nel 2022, l’Italia è passata dalla 41° posizione alla 58°, perdendo 17 posizioni rispetto all’anno precedente. Il Paese scende drasticamente nella classifica, inserendosi tra la Macedonia del Nord e il Niger principalmente per via del contesto legale. Sono quasi una ventina i giornalisti italiani sotto scorta perché minacciati di morte dalla mafia o altre organizzazioni criminali, o da gruppi estremisti. Il livello di violenza espressa contro i professionisti dell’informazione nella penisola si aggrava soprattutto in Campania, Calabria, Puglia e in Sicilia, ma anche a Roma e dintorni. Secondo i dati raccolti da Ossigeno per l’informazione, osservatorio patrocinato dalla FNSI e dall’Ordine nazionale dei giornalisti, nel corso del 2019 sono state documentate e rese note 433 intimidazioni o minacce nei confronti di altrettanti giornalisti o blogger italiani, la gran parte delle quali sotto forma di atti violenti (avvertimenti, aggressioni, danneggiamenti) e abuso di denunce e azioni legali.

Il diritto del cittadino a ricevere notizie corrette e imparziali è, quindi, sottoposto ancora a minacce crescenti. Ogni anno molti giornalisti rischiano la propria vita nel quotidiano sforzo di trovare e raccontare verità e il fatto che i pericoli fisici legati all’esercizio della professione appaiano in aumento è una prova di come essa continui ad avere un valore civile irrinunciabile.

di Laura Ruggiero

Scrivi un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*